Vittoria. (Il primo giorno di scuola)

Una mattina ti svegli, ti guardi indietro e sembra che tu stia vivendo un’altra vita.  Questa mattina mi sono alzata, ho preparato il mio solito cappuccino, mi sono guardata allo specchio con faccia non troppo convinta del suo riflesso e mi sono fermata a pensare.
Si sono sempre io, quella coi capelli arruffati al mattino, con i ricci un po’aggrovigliati, quella che non vuole mai lasciare il suo letto e che rimarrebbe incollata per almeno un’altra mezza giornata. Sono sempre io, eppure non sono più io.
Insomma, sono una me “evoluta”, ma ancora da perfezionare. Ho perso un altro chilo, ho cambiato profumo ( coco mademoiselle di Chanel, che mi illude di essere un po’ più sofisticata) , indosso altri vestiti, e sembro quasi “adulta”. Si insomma, adesso ho un pezzo di carta, ho un contratto…l’ho firmato ieri….mi hanno dato fiducia… Adesso ho il dovere di insegnare a dei marmocchietti non solo l’inglese, ma anche qualche regola di vita, dare il buon esempio….io dovrei insegnare come si sta al mondo, quando non sono capace di badare a me stessa, quando in realtà colleziono disastri. Io sono un disastro, anzi, io sono IL DISASTRO. Io quella stupida, che nonostante le mille delusioni aspetta ancora qualcuno che la prenda per mano e le dica “non ti preoccupare, ci sono io”. Cosa posso insegnare a questi bambini io??? C’è più da imparare da loro che da noi. Loro conoscono ancora il significato della parola lealtà, fiducia, per loro è tutto semplice. Si fa pace con il mignolino o scambiandosi una figurina. Noi “grandi invece” ci chiudiamo nei nostri rancori e spariamo., anche per secoli. Alziamo muri, fisici, geografici, mentali….Siamo stupidi.
Ieri è stato il mio primo giorno di scuola. E’ andato molto bene. Ho portato dei pupazzi e ho intrattenuto i piccoletti. Sembravano contenti.  Eppure la lezione me l’hanno data loro. Mi hanno insegnato loro. E sul serio, lo giuro, sono tornata a casa spiazzata. Spiazzata da quei sorrisi senza denti che mi correvano incontro per abbracciarmi prima di andare via come se mi conoscessero da una vita, come se mi volessero già bene, in modo spontaneo, senza aver paura di mostrare un sentimento, come fanno i grandi. Poco prima di tornare a casa, quando stavo per chiudere la porta dell’aula, mi viene incontro una bambina biondissima, mi si avvicina e mi porge una margherita gialla, senza dire una parola e continuando a fissarmi me la avvicina al naso per apprezzarne il profumo. Sorridiamo assieme, le accarezzo i capelli, gliela restituisco, ma lei scuote la testa, e sempre senza dire una parola, la adagia sulla mia mano. Era un regalo. Per me.
……….
è solo una bimba, è solo una margherita, è solo che avevo bisogno di questo.
Lei, si chiama Vittoria.

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